Il Concilio di Trento
Interno del Duomo di Trento
S.Maria Maggiore - Chiesa |
Nessun avvenimento storico ha segnato tanto
profondamente l'identità civica di Trento
quanto il XIX Concilio Ecumenico, indetto
dalla Santa Sede "contro
l'Heresia di Lutero, e per l'Ecclesiastica
riforma",
come ricordava nel 1673 il bresciano
Michelangelo Mariani in un testo erudito
intitolato Trenta con il Sacro Concilio,
quasi a sancirne un legame indissolubile.
Annunciato fin dal 1524, convocato
ufficialmente il 22 maggio 1542, aperto con
grande ritardo il 13 dicembre 1545 e
conclusosi dopo due lunghe interruzioni il 4
dicembre 1563, il Concilio rappresentò per
la città atesina un'occasione storica
irripetibile, grazie alla quale essa si
affacciò per la prima volta sulla ribalta
internazionale, accrescendo enormemente la
propria notorietà e il proprio prestigio.
Trenta - l'antica Tridentum di fondazione
romana, divenuta nel medioevo la capitale di
un piccolo principato vescovile nel vasto
orizzonte del Sacro Romano Impero - era
stata scelta come sede conciliare già nella
bolla di indizione del 22 maggio 1542,
quando papa Paolo III la definì "sito
comodo, libero e a tutte le Nationi
opportuno". La sua posizione geografica la
rendeva infatti un ideale ponte tra l'Italia
e la Germania, mentre il suo peculiare
statuto politico - una città governata da un
vescovo vassallo dell'imperatore - offriva
garanzie sia al Papato sia all'Impero. La
scelta di Trenta era dunque scaturita da un
accordo politico faticosamente raggiunto tra
la corte pontificia e l'imperatore Carlo V,
dopo che altre ipotesi (Mantova, Vicenza,
Ferrara, Bologna, Piacenza, Cambrai,
Colonia, Ratisbona) erano state scartate.
Non si deve tuttavia pensare che questa
decisione fosse definitiva: dopo l'avvio dei
lavori nel 1545, in varie occasioni e da più
parti venne avanzata la richiesta di
spostare il sinodo in un'altra città; e
anche se il trasferimento a Bologna nel 1547
si rivelò un completo fallimento, la
riconvocazione del Concilio a Trento nel
1551 e nel 1561 non fu scontata. Ancora nel
novembre del 1561 il vescovo di Fiesole
scriveva al duca di Firenze Cosimo I de'
Medici che "si
dubita che possino commodamente alloggiare
in questa città tanti prelati di conto et li
ambasciatori",
esprimendo l'opinione "che Trento per un
concilio universale frequente di prelati et
di nationi non sia così bastante".
Indirettamente, la scelta di Trento veniva
incontro alle aspettative dei protestanti:
fin dal 152O, infatti, Lutero aveva chiesto
a gran voce la convocazione di un "libero
concilio cristiano in terra tedesca", e
l'appartenenza del principato vescovile di
Trento al Sacro Romano Impero della Nazione
Germanica poteva apparire, in questo senso,
una soluzione di compromesso. Le cose, come
sappiamo, andarono ben diversamente e la
partecipazione dei rappresentanti della
Riforma ai lavori conciliari, ancorché
assicurata da appositi salvacondotti, di
fatto non ebbe luogo. Nel gennaio del 1546
la proposta di far intervenire al Concilio
Filippo Melantone o Martino Bucero,
caldeggiata segretamente da una decina di
vescovi ed abati e appoggiata dallo stesso
cardinale Cristoforo Madruzzo, morì sul
nascere. Nel 1551 giunsero a Trento, sotto
la protezione di Carlo V, alcuni
ambasciatori e teologi protestanti, che
tuttavia non furono ammessi alle
discussioni. Negli anni seguenti la
situazione si irrigidì ulteriormente: "Gli
heretici di Germania tanto pensano di
lasciarsi ridurre al Concilio, se Dio non fa
sopra loro qualche miracolo, quanto
possiamo sperare per lo stato presente
prima che i Turchi si convertano alla fede",
scriveva da Trento il 3O marzo
15621'arcivescovo di Zara Muzio Calini: e
questa dovette essere l'opinione della
grande maggioranza dei prelati. L'assise
tridentina condusse così alla definitiva
condanna delle tesi luterane e alla sanzione
dell'avvenuta divisione religiosa
dell'Europa. Ma questo innegabile fallimento
non vanificò il lavoro svolto dal Concilio:
da esso scaturì infatti una profonda riforma
interna della Chiesa cattolica, sia in senso
dottrinale sia in ambito organizzativo e
disciplinare. Per almeno due secoli, nel
bene e nel male, i decreti tridentini
esercitarono un'influenza decisiva non
solamente sull'organizzazione della vita
ecclesiastica, ma anche sulla cultura, sul
pensiero e su molti aspetti del vivere
civile dell'Europa cattolica.
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stesse ingrandite
Durante i lavori conciliari, diluiti
nell'arco di diciotto anni, Trento ospitò
284 alti prelati e numerosi altri delegati
provenienti da quattordici diverse nazioni,
assumendo di fatto il ruolo di capitale del
cattolicesimo e di crocevia della politica
europea. Nel terzo periodo del Concilio,
quello conclusivo, sulle rive dell'Adige
confluirono oltre duecento vescovi e gli
ambasciatori di dodici Stati. Nessuno dei
cinque papi succedutisi sul trono di San
Pietro tra l'apertura e la chiusura del
sinodo venne a Trento: Paolo III, Giulio III
e Pio IV preferirono inviare in propria vece
dei legati, scelti tra i cardinali di loro
fiducia. Anche l'imperatore Carlo V e il suo
successore Ferdinando I, si tennero lontani
dalla sede del Concilio, ma influenzarono
l'orientamento dell'assemblea attraverso
l'opera degli ambasciatori o con la loro
presenza fisica a Innsbruck. I veri assenti
furono tuttavia i rappresentanti dei
principati della Germania luterana, dei
cantoni svizzeri riformati, dell'Olanda e
ovviamente di tutto l'Oriente ortodosso,
mentre l'Inghilterra e la Svezia furono
rappresentate da personalità carismatiche
come il cardinale Reginald Pole, arcivescovo
di Canterbury, e l'arcivescovo di Uppsala in
esilio Olao Magno, che però non agirono in
nome delle loro nazioni ma a titolo
personale. Il patriarca latino di
Gerusalemme Antonio Elio, presente a Trenta,
era in realtà il vescovo di Poi a e quindi
non si può dire che rappresentasse la
Terrasanta, mentre il patriarca degli Assiri
Abdisù, venuto a Roma nel 1562 per la
conferma della sua elezione, si limitò a
inviare ai legati un dispaccio nel quale si
sottoponeva in anticipo alle decisioni
conciliari. Le Americhe e l'India furono
idealmente rappresentate dai vescovi e dagli
ambasciatori spagnoli e portoghesi. Nel
luglio del 1562 Angelo Massarelli stimava
che il numero dei forestieri presenti a
Trento avesse raggiunto le quattromila
unità. Per far fronte a questo compito la
piccola città, che all'epoca contava tra i
seimila e gli ottomila abitanti, era stata
mobilitata fin dal 1542 a tutti i livelli,
sotto l'abile guida del principe vescovo
Cristoforo Madruzzo e con la costante
collaborazione del Magistrato Consolare,
l'organo di rappresentanza dell'oligarchia
cittadina. A loro volta i consoli si
trovarono a trattare i
Torre Civica
Torre Vanga
singoli problemi di alloggio e
approvvigionamento con il commissario
pontificio per il Concilio, il vescovo di
Cava de' Tirreni Tommaso Sanfelice.
Cardinali, patriarchi, arcivescovi e
vescovi, abati, generali di ordini, teologi,
ambasciatori, giureconsulti e cerimonieri,
spesso accompagnati da familiari e folto
seguito, trovarono alloggio nei principali
palazzi, nei conventi e nelle locande: quasi
tutti nel ristretto spazio compreso tra
l'antico corso del fiume Adige -
deviato nell'alveo attuale solo nella
seconda metà dell'Ottocento
- e le mura medievali. La città era
certamente piccola, ma non meschina: :'Ha
circa mille case - annotava il Massarelli -
alcuni bellissimi edifizi e molte vie
regolari, con ampie piazze, ha molti palagi,
fra i quali primeggia per bellezza e
grandiosità il vescovile", Una xilografia
raffigurante la forma urbis di Trento fu
edita a Venezia nel 1562 da Giovanni Andrea
Vavassore su incarico di Antonio Manelli,
depositario della Cassa del Concilio: fu la
prima immagine a stampa della città,
destinata a rimanere l'archetipo di gran
parte della successiva iconografia di
Trento, Tutte le sessioni ufficiali del
sinodo tenute a Trento, ventitre in tutto,
si svolsero nel duomo di San Vigilio,
grandiosa e venerabile fabbrica romanica
ubicata quasi nel centro geometrico
dell'insediamento urbano,
Notizie tratte dal
libro "Il Concilio di Trento I luoghi e la memoria"
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