in Trentino 2013
Situato a
oltre 800 metri d'altezza, tra la Val di Fiemme, a cui appartiene
amministrativamente, e la val di Cembra, sul versante settentrionale del
Lagorai, Valfloriana è uno dei comuni più autentici delle Dolomiti. Un
paese, anzi 12 piccole frazioni sparse entro breve raggio, dove tutto, o
quasi, è rimasto intatto, cristallizzato nella sua storia. Dove piccole
case con ampi balconi, vecchie fontane, antiche cappelle e orti
curatissimi sono circondati da fitti boschi di abeti rossi punteggiati
di larici. Dove si crede ancora a una romantica leggenda: per salvare la
loro regina, colpita dall'incantesimo di una strega invidiosa, i
valligiani furono trasformati, con un malefico sortilegio, in
meravigliosi fiori. Da qui il nome della località, Valfloriana. A
Valfloriana anche il Carnevale è rimasto autentico. E con esso
l'artigianato tipico delle facère, le originali maschere in legno che
coprono il volto di tutti quelli che partecipano alla sfilata
carnevalesca. Le maschere passano di padre in figlio, insieme ai
coloratissimi abiti e ai buffi cappelli, come fossero un vero tesoro.
Anche perché gli intagliatori che lavorano ancora le facère sono pochi,
e lo fanno soprattutto come hobby. Gli abiti si fanno in casa. E i
copricapo si richiedono a due anziani che non hanno dimenticato 1'arte
di lavorare il feltro. Il Carnevale da queste parti è una festa antica,
che si perde nella notte dei tempi, nata per onorare la fine del lungo
inverno e l'arrivo della primavera. In Valfloriana, da sempre, il
Carnevale si festeggia solo il sabato grasso, per tutto il giorno,
quest'anno il 25 febbraio. Le maschere iniziano a scendere verso valle
dal paese più a monte, Sicina, e passano per tutte le frazioni recitando
un copione inciso nella memoria orale della vallata. In testa al corteo,
di paese in paese sempre più numeroso ci sono i matoci i grandi
protagonisti della festa. Sono in genere uomini giovani, goffi e
robusti, con il volto coperto dalla classica maschera in legno di
cirmolo o di abete rosso, vestiti con un abito pieno di pizzi, fiocchi
nastri, coccarde. Sfilano uno alla volta, facendo tintinnare il bronzin,
il grosso campanello fissato ai fianchi. Serve ad avvertire il paese
del loro
arrivo, e annunciare il
passaggio del corteo del Carnevale. Il matòcio, per tradizione, deve
affrontare il rito del contrèst: la strada per entrare nel cuore del
paese gli viene sbarrata; prima di poter proseguire deve rispondere a
una sorta di interrogatorio, in dialetto stretto, sulle vicende private
della comunità. I matòci, che essendo mascherati possono permettersi di
dire davvero di tutto, rispondono con insinuazioni, non troppo garbate,
con scherzi e battute. È la rievocazione di una consuetudine antica,
quando per superare i confini si era costretti a pagare dazi e pedaggi.
E dopo il primo, tocca al secondo matòcio essere interrogato, ripetendo
il rito del contrèst. Alla fine il permesso di attraversare il borgo
arriva sempre, e viene festeggiato con salamelle, salsicce, polenta e
buon vino, offerti dalle donne del villaggio di turno. Sfilati tutti i
matoci, con i loro sberleffi e i loro buffi inchini, arrivano gli
arlecchini. Si riconoscono dalla capùcia, il cappello slanciato, a forma
conica, ornato di nastri e merletti. Il viso è nascosto dalla classica
maschera in legno e 1'abito è bianco ma totalmente ricoperto da
coloratissimi fiocchi e pizzi e da due stole di seta multicolore che
svolazzano sulla schiena. Gli arlecchini sono i migliori ballerini del
gruppo e, fazzoletto colorato alla mano, volteggiano con grazia nel
corteo, dando poi il via alle danze nel gran ballo che attende tutte le
maschere a Casatta.
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Subito alle spalle
degli arlecchini sfila la “cumpagnia", il gruppo delle maschere. Non mancano mai
gli sposi, con l'uomo vestito da sposa e la donna da sposo. Sono due figure
fondamentali, anche perché la sfilata del Carnevale di Valfloriana trae
ispirazione dall'usanza dei cortei nuziali, in voga sino all'inizio del secolo
scorso, di passare tra tutte le frazioni del piccolo comune per festeggiare,
praticamente di casa in casa, la nuova coppia. Insieme agli sposi ci sono "il
bel e la bela", le maschere più belle, e poi le imitazioni grottesche dei
mestieri classici: il boscaiolo, il medico (spesso matto), il contadino, il
mugnaio, la massaia, il guardia bosco. Tutti insieme mettono in scena spaccati
di vita quotidiana, bizzarri e un po' paradossali. Per ultimi, a chiudere la
sfilata, arrivano i paiaci. Sono maschere dal volto deforme, che non parlano
mai, vestite in modo strampalato, spesso sovrapponendo diversi tipi
d'abbigliamento. I paiaci propongono pungenti e gustose pantomime dedicate ai
fatti più chiacchierati della vita paesana. Amori, antipatie, screzi e litigi
diventano sceneggiate di piazza, farseschi spettacolini che regalano grasse
risate. Di paese in paese si arriva, quando è ormai pomeriggio inoltrato, a
Casatta, il villaggio più a valle.
Qui la meta è il teatro Comunale, dove il Carnevale recita il suo ultimo atto. I
fisarmonicisti ripropongono la danza degli arlecchini, un'antica musica
tradizionale, che si suona soltanto in quest' occasione, tramandata oralmente
dagli anziani ai più giovani. Padroni del palco, gli arlecchini, che si lanciano
in passi complessi e rocamboleschi. Dopo quest'ultimo rito, il Carnevale
tradizionale può dirsi concluso. A matòci, paiaci e arlecchini si uniscono
allora uomini ragno, damine seicentesche, barbuti neonati e gagliardi orsi
bruni. Le maschere più nuove incontrano quelle storiche. Per una notte di danze.
BALLI IN PIAZZA Sotto:
un momento del ballo degli sposi, accompagnati dal "bel e la bela", ovverole
maschere più belle. A destra: gli arlecchini, con gli abiti coloratissimi
ricoperti di fiocchi e pizzi, e con in testa la capùcia, il cappello conico
ornato di nastri e merletti. Il corteo sfila il sabato grasso per le 12 frazioni
di Valfloriana, capeggiato dai matòci, seguiti da arlecchini, sposi, paiaci.
GLI ARLECCHINI
: al suono delle fisarmoniche, gli arlecchini si esibiscono nei complicati passi
della loro danza, tramandata oralmente nei secoli, reggendo tra le mani un
fazzoletto colorato che fanno volteggiare. In alto a destra: "il bel e la bela",
nascosti sotto le facère.
Sabato grasso in allegria
Il Carnevale di Valfloriana si svolge
sempre il sabato grasso, quest'anno il 25 febbraio. Alle 9 del mattino il corteo
prende il via da Sicina, la più a monte tra le 12 frazioni del Comune (12
frazioni ma in realtà 10 paesi: Maso e Ischiazza furono infatti distrutti
dall'alluvione de l4 novembre 1966, e da allora sono villaggi fantasma). A
mezzogiorno le maschere arrivano a Dorà, una delle borgate più grandi,
posizionata sulla strada che da Villaggio, il cuore geografico di Valfloriana,
sale a Palù, sperduto gruppo di case dove abitano solo 8 persone. Alle 16 paiaci
e matòci arrivano a Casatta, sede comunale (da vedere la chiesa di San Floriano,
con la bella pala seicentesca di Antonio Zeni). A Casatta le maschere sono
accolte da pentoloni di vin brulé e dolcetti caldi. Il gran ballo, al teatro di
Casatta, aperto a tutti, inizia alle 20. Informazioni: Azienda promozione
turistica vai di Fiemme, a Cavalese, 0462/24.11.11.
IL RITO DEL CONTRÈST
Facendo tintinnare il
bronzin, il grosso campanello fissato ai fianchi, i matòci avvertono il paese
dell'arrivo del corteo. All'ingresso di ciascuna delle 12 frazioni, ogni matòcio
trova la strada sbarrata: potrà passare solo dopo aver sostenuto una sorta di
botta e risposta con i, paesani chiamato contrèst.
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